PUBBLICATO ARTICOLO SUGLI STUDI RIGUARDANTI LA MORTE IMPROVVISA

Pedro Brugada attacca studio sulla morte improvvisa: “Dà false speranze”

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Pedro Brugada, che insieme al fratello Josep ha descritto nel 1992 l’omonima sindrome responsabile del 15-20% dei casi di morte improvvisa tra gli under 40, attacca in una lettera l’annuncio di una cura definitiva contro la malattia, diffuso dopo la pubblicazione di uno studio co-firmato dallo stesso Josep Brugada e da Carlo Pappone, direttore dell’Unità operativa di Elettrofisiologia e Aritmologia dell’Irccs Policlinico San Donato Milanese.

Un colpo a sopresa con Pedro che rivolge “alcune critiche importanti”, si legge nella missiva ricevuta dall’AdnKronos Salute, “a causa delle aspettative sbagliate” che la notizia “ha creato tra i miei pazienti, spinti dalla vana speranza di poter definitivamente ‘guarire'” dalla patologia.

Dopo l’annuncio del 22 settembre “il nostro centro è stato ripetutamente contattato da pazienti per chiarimenti”, scrive Pedro Brugada, direttore del Cardiovascular Center e dell’Heart Rhythm Management Center dell’Universitair Ziekenhuis di Bruxelles. L’esperto premette di conoscere “il dottor Pappone da tempo: è una delle menti più creative nel settore dei disturbi del ritmo del cuore, e un potenziale modello da seguire per futuri cardiologi. Tuttavia – precisa – la commercializzazione della medicina non deve sopraffare la realtà scientifica”.

La tecnica descritta da Pappone e Josep Brugada su ‘Circulation EP’ (il lavoro è uscito online in agosto e comparirà in ottobre sulla versione cartacea della rivista), afferma Pedro Brugada, “in realtà è già stata descritta dal collega Koonlawee Nademanee (che lavora presso l’università della California) in una pubblicazione riguardo a questo trattamento circa 4 anni fa. Non c’è nulla di nuovo: Nademanee aveva già dimostrato tutto”, sostiene lo specialista citando il titolo del lavoro uscito nel 2011 su ‘Circulation’. “Il punto principale al quale voglio arrivare – puntualizza – non si riferisce al trattamento stesso, già peraltro dimostratosi efficace come si può intuire leggendo l’articolo di Nademanee, ma a chi dovrebbe essere rivolto questo trattamento, e se questo può essere una valida alternativa all’impianto del defibrillatore (Icd)”.

“Con migliaia di pazienti con sindrome di Brugada in tutto il mondo trattati con un Icd – osserva Pedro Brugada – nessuna pubblicazione ha messo in discussione il valore positivo di questa terapia per prevenire la morte cardiaca improvvisa. I pazienti con la sindrome in questione sono giovani (età media 40 anni) e possono avere una vita tranquilla, nonostante l’impianto di un Icd. In realtà, non sono poste limitazioni per quanto riguarda lo sport o altre attività, in quanto sono costantemente protetti dall’Icd”.

“Il trattamento ablativo descritto da Pappone” su 14 malati di Brugada portatori di Icd (dopo la pubblicazione di agosto gli interventi sono saliti a 25), secondo Pedro Brugada “ha come solo obiettivo quello di trattare quella porzione di pazienti affetti dalla sindrome che subiscono ripetuti ‘shock’ terapeutici erogati dal defibrillatore per l’interruzione di aritmie ventricolari maligne. Pertanto l’ablazione può trattare in casi estremi queste aritmie, ma di certo non ‘guarisce’ una malattia genetica come la sindrome di Brugada. Il paziente dovrà comunque subire un impianto di Icd per proteggersi dalla morte improvvisa”, afferma l’esperto.

“Dal nostro centro di Bruxelles (UZ-Brussel-VUB), insieme ai professori Gian-Battista Chierchia e Carlo de Asmundis – conclude Pedro Brugada – non abbiamo inviato alcun comunicato stampa con false speranze, anche dopo aver eseguito numerose ablazioni con successo in pazienti affetti dalla sindrome di Brugada e da aritmie ventricolari ricorrenti. Abbiamo pubblicato i nostri dati sulla crioablazione della fibrillazione atriale in pazienti con sindrome di Brugada su importanti riviste scientifiche, ma non siamo mai andati alla stampa per promuovere l’ammissione di pazienti nel nostro centro o per incrementare il Drg per il rimborso della procedura”.

“La nostra non deve apparire come la diffusione di una illusione – replica Pappone all’AdnKronos Salute – ma come una grande speranza per tanti pazienti che vivono nel terrore della prossima scarica del defibrillatore o delle complicanze dello stesso legate a infezioni o malfunzionamenti, così come già pubblicato su ‘Jacc’ dal gruppo del professor Pedro Brugada”, assicura l’esperto auspicando “che tale lettera scritta da Pedro Brugada, eminente ricercatore in questo campo, non nasconda una certa animosità familiare”. Pappone spiega che “quanto riferito da me, insieme al professor Josep Brugada, risponde esattamente a ciò che è stato recentemente pubblicato su ‘Circulation: Arrhythmia and Electrophysiology'”.

Nell’articolo “si documenta la scomparsa della malattia in 14 pazienti e la conferma di tale risultato dopo 6 mesi di follow-up”, e “non si fa riferimento alcuno alla suddetta inadeguatezza del defibrillatore”, puntualizza il noto aritmologo, all’attivo 150 mila cuori operati. Nelle comunicazioni rilasciate alla stampa, “semplicemente, si dice che il defibrillatore è un palliativo e non rappresenta una cura definitiva, come il professor Pedro Brugada sa benissimo”. Sia nelle interviste che nell’articolo, evidenzia ancora Pappone, si fa già “riferimento alla prima pubblicazione del dottor Nademanee, il quale con successo ha ottenuto l’abolizione delle aritmie ventricolari in circa il 60% di 9 pazienti”.

“Nell’articolo – prosegue lo specialista – è ben chiaro che la tecnica ha come obiettivo non solo l’eliminazione delle aritmie, ma anche l’abolizione completa del pattern elettrocardiografico e quindi della malattia. La differenza è sostanziale poiché l’elettrocardiogramma di tutti i pazienti è diventato e stabilmente rimasto normale nel tempo, dopo l’intervento. I pazienti non hanno presentato più la malattia e non hanno più avuto aritmie ventricolari”.

“Tutti i pazienti sottoposti all’intervento erano portatori di defibrillatore e quest’ultimo non è stato espiantato a nessuno”, ricorda Pappone. “Non escludiamo che nel prossimo futuro, se i risultati fossero confermati nel lungo termine, questa strategia rappresenti un’ipotesi plausibile. Venendo cosi meno i motivi per l’impianto del defibrillatore, non essendovi più evidenza di malattia, è possibile che l’ablazione diventi non solo complemento, ma alternativa al defibrillatore. Quindi se il risultato persisterà nel corso degli anni – dice – il defibrillatore potrà persino essere espiantato o non sostituito quando la batteria sarà scarica”.

“Per quanto concerne l’illazione che tale notizia sia stata diffusa per interessi personali o economici – incalza l’esperto – si fa presente che tale intervento è rimborsato solo per la metà dei suoi costi e rappresenta una perdita economica per l’ospedale. Il nostro lavoro è fatto di passione, di curiosità per la conoscenza al servizio del bene dei pazienti”.